SOGNO DUNQUE SONO / Settimana 1

Scritto da Barbara Cassioli
il 12 Novembre 2024

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La mia prima tappa era Ciricea, o meglio Tarole.

Nel 2019 sono stata ospitata, ancora tutta intontita dal primo giorno di viaggio e dai primi autostop (uno dei quali, per chi ha letto il libro, non così piacevole), dall’ecovillaggio Ciricea: un ex albergo in provincia di Pistoia, in cui 14 persone, ognuno con la propria attività lavorativa esterna, convivevano organizzando eventi e gestendo orti. All’interno del sito della rete RIVE, mi avevano colpito per tenere insieme terra e arte, creatività e socialità.

Una delle immagini di quell’incontro che più porto nel cuore è stata questa festa di primavera in cui due residenti e due ragazzi del centro di accoglienza con cui gli abitanti avevano contatti presentavano uno spettacolo teatrale-musicale: ho amato come l’arte potesse diventare spazio d’incontro, rielaborazione del proprio vissuto e comunicazione col territorio.

In questi anni, mi era giunta voce di grandi cambiamenti per l’ecovillaggio: la struttura alberghiera era stata venduta ed acquistata da persone diverse dai residenti e dunque c’era stato un trasloco in una nuova casa, già di possesso dell’associazione, in cui io però non ero mai stata.

Al mio arrivo mi ha accolta Massimo, uno dei fondatori, con cui nelle settimane precedenti avevo interagito telefonicamente. Mi ha accompagnata mostrandomi questo bellissimo antico monastero che, come tante abitazioni abbandonate negli anni del boom economico in appennino a vantaggio di contesti urbani, ha bisogno di ristrutturazioni importanti.

Nei suoi occhi, però, il piano appare chiaro. “Qui faremo questo, qui faremo quello”. I lavori da fare sono molti, le energie poche perché dopo la chiusura dell’ex albergo, solo una piccolissima parte dei residenti ha scelto di restare: la maggioranza se n’è andata e ha scelto di lasciare anche lo stile di vita comunitario.

Al momento, le persone che abitano a Tarole sono 6: è un gruppo molto giovane perché l’ultimo arrivato è presente da meno di un anno e a me sembra anche, da subito, un mix molto variegato così come variegate sono le risposte alla mia domanda circa la motivazione che li ha spinti a scegliere di abitare in un ecovillaggio, piuttosto che altrove.

Siamo vicini di montagna io e loro, abitiamo i due lati dello stesso Appennino e infatti scopriamo in breve tempo di avere contatti in comune ed esperienze vicine. Mangio con loro, mi mostrano gli spazi delle abitazioni, i cartelloni frutti degli incontri di facilitazione. Emergono le differenze nelle conversazioni: c’è chi ha scelto la comunità per un’ideale anarchico, chi per la possibilità di imparare, chi più per motivazioni pratiche. Se da un lato questa varietà mi perplime, mi invito a immaginare che può anche essere una possibilità.

Il tempo non è molto e va colto al meglio perché per questo viaggio ho preso meno tempo che cinque anni fa e 24 ore circa dopo il mio arrivo, dopo alcune foto di rito, ci salutiamo con la proposta di rivederci e organizzare qualcosa insieme.

E’ il giorno seguente che, durante la stesura della bozza di un post da pubblicare in maniera condivisa, si scatena una discussione.

Il gruppo non è disponibile a citare la raccolta fondi che sto facendo a favore di Mediterranea perché d’abitudine non pubblicano post con risvolti politici.

Sbarro gli occhi.

In che senso?

Tutto ciò che facciamo è politica: mangiare, vestirsi, leggere, non farlo, gli acquisti che facciamo, il modo che abbiamo di relazionarci agli altri, dove abitiamo.

Tutto è politico e se tutto è politico, non partitico, ma politico, salvare in mare viene ancora prima: è umano. E’ viscerale.

E’ un istinto primordiale salvare dalla morte un proprio simile.

Rimango basita: davvero un ecovillaggio, un gruppo di persone che mi ha appena parlato di “costruire un nuovo mondo, un nuovo paradigma” non è coeso nella scelta di esporsi sul tema del salvataggio in mare?

Ci sono dubbi? Non è OVVIO? Per me è OVVIO non avere dubbi su questo argomento ed è OVVIO espormi su questo perché stiamo parlando di vite, di esseri umani a cui è impedito uno dei diritti umani più naturali: lo spostamento, che si trovano a morire, a migliaia in mezzo al mare.

Divento furente, sono profondamente delusa. Cinque anni fa, i residenti della casa portavano in scena uno spettacolo commovente e profondo in collaborazione con due giovani scampati alle onde e ora, per pubblicare un post su instagram, io dovrei mettere a tacere la metà del progetto che sto portando avanti.

Assolutamente no.

Non sono disponibile a tacere su quello che è uno degli argomenti principali del progetto.

Mi sento molto amareggiata e delusa, ma intorno a me ci sono le meravigliose luci delle colline intorno al Tertulia, nel Mugello: è un luogo che ho amato fin dal primo momento, uno di quelli in cui ho pensato di poter restare.

E dunque, lascio il telefono e una conversazione che mi appare priva di senso e vado a camminare.

A Tertulia, ci sono tornata in diverse occasioni tra cui per partecipare al corso base PDC di permacultura nel 2019, un’esperienza che consiglio a chiunque.

Il progetto, un progetto di permacultura, agricoltura sociale e ospitalità, è cambiato moltissimo in questi cinque anni pur mantenendo la pace e la bellezza che lo ha sempre contraddistinto.

Ora Tertulia è un coliving che accoglie persone di tutto il mondo, Italia compresa, che lavorano da remoto e che, in questo luogo, fanno un’esperienza di vita comunitaria “leggera”, conviviale, per un tempo medio di alcune settimane.

Mi accoglie questo gruppo allegro con una gioia e un’apertura che mi commuove. Francesco, proprietario insieme alla moglie Giorgia, della struttura, ha saputo introdurmi con delicatezza e proporre il mio laboratorio nel modo giusto.

Giovedì infatti tutto il gruppo dei colivers e coworkers ha partecipato alla prima edizione di “Sogno dunque sono” in inglese.

Era la prima volta, per me, di espormi in una lingua che non padroneggio perfettamente ma l’accoglienza e il sostegno che ho ricevuto mi hanno permesso di comunicare al meglio delle mie possibilità e condurre tutto l’incontro con grande piacere e soddisfazione di tutte e tutti.

Sono uscita molto divertita da questo incontro e molto felice di vedere Tertulia andare avanti nel tempo, fiorire, maturare e manifestarsi in maniera sempre più chiara e soddisfacente per chi, vent’anni fa ha acquistato un rudere di pietra circondato da terra e castagneti e ora vive, a mio parere, in un posto letteralmente mozzafiato mantenendo e nutrendo sempre la relazione con il territorio, con le persone in condizione di fragilità e con i sogni ed il loro impatto sulla società.

E’ con la luce di Tertulia negli occhi che ho seguito la stessa strada che cinque anni fa, in autostop, mi ha portato a Bagnaia.

Una comune storica, nata alla fine degli anni ‘70, in un piccolo borgo vicino a Siena, in Toscana, dove un gruppo di persone ha scelto la totale condivisione economica, il metodo del consenso e l’autosufficienza.

Da più di quarant’anni ha perseguito la visione di un modello alternativo di vita, una visione politica molto chiara, scelte di consumo, agricoltura e allevamento biologiche.

Dopo il mio viaggio senza soldi, ero tornata a Bagnaia due volte: una per un evento a favore di Mediterranea e una per l’incontro della rete RIVE.

Avevo negli occhi una comune in festa, piena di gente, di ogni età e quando sono arrivata lo scontro tra il mio ricordo e quello che ho visto, e poi ho ascoltato, è stato lampante.

In questi anni di pandemia, il gruppo ha vissuto molti cambiamenti e perso diverse persone. I e le residenti, in buona parte ancora forti, motivate ed in salute, sono dunque numericamente meno e più “grandi” come amano definirsi.

In questo tempo, è stata chiusa l’azienda agricola ed estirpata la vigna, uno degli elementi distintivi del progetto insieme agli ulivi e agli orti.

Ci sono alcuni woofer e persone in fase di “sperimentazione” ma al momento nessuno ha confermato il desidero di restare. A fronte delle tante partenze di questi anni, una sola donna ha scelto di trasferirsi a Bagnaia.

L’età media è ormai alta e le forze iniziano a calare.

La visione è ancora chiara, il gusto di questi 45 anni d’esperienza, il valore di aver portato in realtà un sogno e aver dimostrato che è possibile abbattere il concetto di proprietà privata.. tutto questo è forte, ma è evidente anche che è urgente un ricambio generazionale. Servono nuove leve, nuove braccia per portare avanti questo progetto.

Sento, in chi prende il tempo di confrontarsi con me, un mix di determinazione e tristezza.

Cosa succederà a Bagnaia se, nel giro di pochi anni, non arrivano nuove persone?

Può davvero un progetto così visionario e potente trovare la fine, proprio di questi tempi, in cui tanto avremmo e abbiamo bisogno di cambiamento e comunità?

Me ne vado con molta tristezza nel cuore e molte domande in direzione del mare.

Passeggio sulla battigia col cielo coperto dalle nubi basse ponendomi domande di cui non ho risposta e cercando di trovare la fiducia per essere quella che sono: un essere umano con capacità, possibilità, forza limitate.

Sabato è stato un giorno triste per me e per fortuna sono potuta restare in questa tristezza, fintantoché non mi sono resa conto di aver lasciato i fari accesi del furgone e di aver così seccato la batteria che già aveva dato qualche segnale di stanchezza.

Al risveglio, domenica, mi ha raggiunta Serena, la ragazza che cinque anni fa mi aveva portata, in un viaggio senza soldi, in vacanza all’isola d’Elba per i giorni di Pasqua.

Sono stati anni impegnativi anche per lei, forse come per tanti e per chi ha vissuto questi anni pandemici ponendosi quesiti su ciò che stava succedendo a livello sociale e su ciò che stava accadendo nella propria vita. Ci confrontiamo con il concetto di libertà, di dipendenza, delle tracce che questi anni hanno lasciato nelle persone.

La trovo donna, più grande, anche se, mi dice “molto presa dal fare tante cose e più staccata da sé”. E’ proprio quel sé che cerchiamo di ricontattare nel pomeriggio, durante il laboratorio che abbiamo organizzato nel suo studio di psicologia.

Torniamo al corpo, prima casa e strumento con cui ci portiamo nel mondo, spazio dove i sogni, prima di raccontarli, li possiamo sentire e io sono grata per ogni singola persona che si concede la possibilità di fermarsi e chiedersi: ma io, dove li percepisco i miei sogni? E che movimento mi fanno fare?

La giornata finisce così: riusciamo a cambiare la batteria con il preziosissimo aiuto di Serena e del suo fidanzato e mi raggiunge LUI, il mio compagno. Un uomo che, cinque anni fa, neanche credevo di poter incontrare e al quale sono molto grata per il sostegno che porta, per sua scelta silenziosamente, al progetto di viaggio e per la qualità di vita che stiamo condividendo.

Da ora in poi viaggeremo insieme. Festeggiamo questo inizio alle terme di Saturnia, che, di notte, sotto un cielo stellato, sono veramente un paradiso in terra.